Bologna – È Silence of Reason di Kumjana Novakova (Macedonia del Nord, Bosnia ed Herzegovina, 2023, 1h03) il film vincitore della terza edizione del concorso internazionale dedicato alle opere di found footage, nell’ambito della XVII edizione di Archivio Aperto, il festival di Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna dedicato alla (ri)scoperta del patrimonio cinematografico privato, sperimentale e inedito. Il film, realizzato utilizzando esclusivamente archivi video, testimonianze e archivi forensi sulle esperienze individuali di violenze e torture inflitte a donne nei campi di stupro di Foča, durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, ha convinto la giuria composta dalla curatrice, montatrice e produttrice cinematografica spagnola Garbine Ortega, dalla portoghese Teresa Castro, docente di cinema presso l’Université Sorbonne Nouvelle di Parigi e dal regista italiano Massimo D’Anolfi. Il premio al Miglior lungometraggio, del valore di 3mila euro, è stato assegnato a “un film sorprendentemente rigoroso e assolutamente necessario che rivela le atrocità della guerra spesso invisibili, come la violenza sessuale sistematica e la schiavitù, attraverso una ricerca meticolosa”, come si legge nelle motivazioni. Il premio di 1.500 euro al Miglior cortometraggio va a Le voyage de documentation de Madame Anita Conti di Louise Hémon (2024. Francia, 38’), realizzato con i filmati, le fotografie e i documenti girati negli anni Cinquanta da Anita Conti, la prima donna oceanografa francese ad addentrarsi nel mondo chiuso dei marinai, che si imbarcò su un peschereccio nel 1952 per toccare con mano la dura vita dei pescatori di merluzzo dell'Atlantico: “il mare, il lavoro, la luce, le tempeste: la regista Louise Hémon attraverso le riprese e le fotografie realizzate a metà del ‘900 da Anita Conti ci regala immagini memorabili e di rara bellezza che ci ipnotizzano e ci ricordano che siamo ospita passeggeri di questo mondo”, la motivazione del premio.
Il premio di 1.000 euro per la Miglior valorizzazione dei materiali privati d’archivio è assegnato a Triton di Ana Lungu (2024, Romania, 85’), che indaga le relazioni tra generi nella Romania del ‘900 attraverso storie di donne e sguardi di uomini, “per la scrittura audace, l'inventiva e l'approccio originale a tre archivi privati”. Menzione speciale a 24 Cinematic Points of View of a Factory Gate in China di Ho Rui An (2023, Singapore/Spagna, 24), costruito a partire dalle riprese realizzate tra il 2013 e il 2014 dalle videocamere di sorveglianza montate di nascosto davanti ai cancelli delle fabbriche di diverse società cinesi quotate alla Borsa di New York, ricollocate in una genealogia che risale al film dei fratelli Lumière che mostrava gli operai in uscita dal cancello di una fabbrica, “per la sua talentuosa acutezza e il suo brillante coinvolgimento della storia del cinema”.
Anche la Giuria Giovani ha scelto i suoi vincitori: Miglior lungometraggio a Fragments of Ice di Maria Stoianova (2024, Ucraina, Norvegia, 93’), costruito a partire dagli archivi VHS del padre della regista, pattinatore post-sovietico che viaggiò in Occidente per le sue tournée, “per la valorizzazione in chiave narrativa dell’archivio privato che riesce a dipingere tra frammenti di memorie famigliari una storia collettiva: l’intimità dello sguardo registico ci coinvolge e ci accompagna lungo lo sgretolamento del blocco sovietico”.
Miglior cortometraggio a Grandmamauntsistercat di Zuza Banasińska (2024, Paesi Bassi / Polonia, 23’), “narrazione audiovisiva disturbante che sovverte e riscrive il folklore est europeo tramite lo sguardo giocoso di una bambina che da sola fronteggia le convenzioni familiari e culturali della Polonia comunista. Utilizzando immagini esteticamente ricercate, il racconto rimane sempre coerente con lo sguardo registico: evitando l'impasse di una visione fine a se stessa presenta un innovativo e personale immaginario identitario e di genere”. Menzione speciale, infine, per a A Fidai Film di Kamal Aljafari (2024, Palestina, Germania, Qatar, Brasile, Francia, 78’), sull’invasione israeliana di Beirut nel 1982 durante la quale l’esercito distrusse l’archivio del Palestinian Research Center, “per la sua sovversiva e poetica riappropriazione delle immagini, e per mantenere in vita la storia visiva del popolo palestinese la cui memoria viene minacciata ogni giorno”.
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