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SPAZIO ZEN: ERO VERLAINE La caduta all'inferno di un genio maledetto

Data pubblicazione: 03-06-2025
 

Quando, nel 1873, il grande poeta Verlaine, allora trentenne, decide di lasciare la moglie e il piccolo figlio per fuggire assieme al giovanissimo poeta Arthur Rimbaud, 19enne, lo scandalo si insinuò tra le chiacchiere dei salotti parigini. Ma nessuno avrebbe previsto l’epilogo tragico. In un albergo di Londra, Verlaine ferisce con una pistola il compagno, e viene condannato a due anni di prigione, con l’infamante accusa di sodomia, oltre che di tentato omicidio (per la quale imputazione lo stesso Rimbaud tentò di scagionarlo). 
Solo, in galera, privato di tutto, Verlaine apprende l’umiliazione definitiva: l’approvazione della richiesta di separazione (allora rarissima) da parte della moglie.
Ed è così che il poeta maledetto si converte al cattolicesimo, con una serie di poesie colme di un duro e greve misticismo. La raccolta, uscita poco dopo col titolo Sagesse, sarà un fallimento commerciale.
Del grande poeta, spocchioso, audace, irriverente, non rimaneva più nulla. 
Annientato dalla spirale della sua vita in discesa, tenterà il suicidio. E come tutti i carcerati con questa problematica, sarà rinchiuso in isolamento. Nudo, per non ferirsi. Senza poter leggere e scrivere, per non salvarsi. Ultimo sberleffo alla sua grande mente.
Ed è così che ritroviamo Giuseppe Brandi, che somiglia straordinariamente al poeta, interprete di uno spettacolo crudo, violento, lancinante, in cui si alterna l’amore per Rimbaud, il folle misticismo, la richiesta di perdono, la rabbia per la moglie, la poesia, la vita che fugge. Brandi, completamente nudo per tutto lo spettacolo, ha solo la sua voce, per rivolgersi a chi, dietro lo spioncino della cella, detiene il destino della propria vita. Ultimo spiraglio verso l’altrove.

Così l'attore e regista Giuseppe Brandi racconta lo spettacolo.

- Il 6 giugno sarai allo spazioZen per riportare in scena "Ero Verlaine", che ha già avuto date a Caserta, Napoli e prossimamente Roma. Di cosa tratta questo spettacolo?
"Ero Verlaine è un viaggio dentro la fragilità, la colpa e il desiderio. Racconta un momento molto preciso della vita del poeta: è in prigione, in attesa di una visita medica che dovrebbe stabilire la sua 'pederastia'. Ma da questa sospensione nasce un flusso di memoria e visioni, dove poesia, corpi e amore si mescolano. Non c’è una scenografia tradizionale: solo un corpo, una voce e un tempo interiore che esplode. È uno spettacolo sull’umanità spogliata di tutto, anche dei suoi diritti."
- È più difficile o relativamente più semplice portare in scena un personaggio realmente esistito? Ti è capitato già altre volte?
È difficile, ma anche molto stimolante. Da un lato hai dei riferimenti storici, una 'traccia' da seguire, ma dall’altro devi riuscire a restituire un’anima, non solo un nome. Con Verlaine ho cercato di andare oltre l’icona letteraria, di spogliarlo - letteralmente e simbolicamente - per restituire l’uomo. Mi è capitato altre volte, sì, ma mai con un personaggio così complesso e poco rappresentato.
A nostra memoria, è la prima volta che il personaggio di Verlaine viene portato a teatro, mentre al cinema è memorabile la versione di David Thewlis.
- Per costruire questo personaggio a cosa ti sei ispirato?
"Quel film mi ha colpito molto, certo, ma il mio Verlaine è diverso. Mi sono lasciato guidare soprattutto dalle sue poesie, dai suoi versi più intimi, e da alcune lettere. E poi ho lavorato sull’idea del corpo: Verlaine era malato, provato, stanco… ma anche ancora assetato di amore e di senso. Mi sono ispirato a tutti quei corpi poetici che resistono, che non vogliono essere dimenticati". 
- In scena sei da solo, senza oggetti e completamente nudo. È rarissimo assistere a scelte così audaci. 
 Com’è stato affrontare questa prova, nelle repliche precedenti? Che reazioni ha suscitato? Come sei riuscito a combattere l’imbarazzo, se ne avevi, di essere da solo, nudo, davanti a tutti? Un attore riesce ad estraniarsi oppure in qualche modo “vede” il pubblico che lo vede?

"All’inizio è stato difficile, sì. Non tanto per il nudo in sé, quanto per la sua durata: un’ora senza filtri, senza protezioni, solo con la parola e il respiro. Ma non è un nudo provocatorio, è un nudo necessario, coerente con ciò che Verlaine racconta di sé. In qualche modo, il corpo diventa la scena. Alcuni spettatori sono rimasti spiazzati, altri profondamente commossi. Io non mi estraneo del tutto: sento il pubblico, ma non lo 'vedo'. C’è come una sospensione. Quasi una comunione".
- Sei anche cantante e musicista. Ci parli di questa attività? Porterai in scena, in aperta montagna, "I contadini non cantano", la storia di un disertore durante la prima guerra mondiale. Ce ne parli?
"La musica per me è un’altra forma di racconto. "I contadini non cantano" nasce proprio dall’incontro tra canzone e teatro. Racconta la storia - vera - di un giovane soldato che scappa dalla guerra e si rifugia tra i boschi. È uno spettacolo che parla di libertà, di scelta, di silenzi. In scena ci sono solo io, una chitarra e i suoni della natura. È un atto di resistenza poetica, con canti popolari e parole scritte oggi. È un progetto a cui tengo molto".
- Quali sono i progetti per la prossima stagione?
"Ci sono diverse cose in ballo, alcune ancora in fase di definizione. Con il teatro ZTN, con cui collaboro da tempo, stiamo lavorando a nuovi progetti che mi entusiasmano molto. E poi c’è la collaborazione continua con Antonio Mocciola, che sta generando percorsi inaspettati e stimolanti: ci porteranno lontano da Napoli, sia geograficamente che artisticamente. È un momento di grande fermento, e cerco di viverlo con apertura e gratitudine".
(intervista realizzata da U.S.)