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Ero Verlaine: anatomia di un amore che distrugge

Data pubblicazione: 09-06-2025
 

La sala diventa buia, tutti gli occhi sono rivolti al palco, che improvvisamente si illumina: un uomo nudo entra in scena. Così inizia Ero Verlaine, lo spettacolo scritto da Antonio Mocciola, diretto e interpretato da Giuseppe Brandi. Ha debuttato il 6 giugno allo Zen, un piccolo teatro cittadino, appena dietro Piazza Dante, caratterizzato da un sapore di familiarità e intimità. Immagino sia stato scelto proprio per questo, per il tepore che suscitano gli spazi piccoli, territorio d’élite, perfetti per uno spettacolo dalle sfumature intense.
Ero Verlaine sviscera l’animo nudo di Paul Verlaine, poeta maledetto che fugge da moglie e figli per vivere un amore clandestino con Arthur Rimbaud, un giovane poeta.
L’ambientazione è spoglia, così come il protagonista, e la storia si affida completamente alla voce e al corpo di Brandi, che in un monologo serrato trascina il pubblico nella mente tormentata del poeta. Le parole prendono vita, disegnano il passato; i palazzi, le carrozze, la prigione, le pistole si materializzano sulla scena, anche se non li vedi. La scrittura di Mocciola ha proprio questa capacità: rendere concreto ciò che è ideale, in un continuo scambio di materialismo ed astrazione.
Così, passo dopo passo, ci immergiamo nella storia travagliata di Verlaine: la fuga a Londra, la vergogna della famiglia, i pettegolezzi, il legame ossessivo con Rimbaud, l’omosessualità nascosta ma talvolta quasi ostentata, in un gioco perverso di sadismo e perversione. Un
amore che si nutre di poesia ma anche di dolore, che alimenta il desiderio e insieme l’autodistruzione.
Dialogo dopo dialogo, tutti i segreti vengono svelati, e sul palcoscenico resta un uomo nudo, esteriormente e interiormente, rinchiuso in una cella per un colpo di pistola. L’arma è l’elemento centrale della narrazione: Verlaine l’ha usata contro Rimbaud per il troppo amore, per un sentimento divenuto asfissiante, tossico, metafisico. Rimbaud ha tentato di lasciarlo, ma Verlaine ha preferito la morte all’abbandono. Quel gesto, più che pericoloso, appare disperato, animalesco, ed è questo che porta all’arresto: non tanto il tentato omicidio, quanto l’amore “sbagliato”, la pederastia, lo scandalo.
Verlaine si dispera, scalpita, parla con i fantasmi della sua storia, ride di gusto poi si butta a terra, ricordando la vergogna inflitta alla moglie. Ma non si colpevolizza mai del tutto: vive tutto con ardore, con una fame divorante. Ce l’ha con Rimbaud, ma lo ama; lo venera, ma lo odia; poi sente la sua mancanza, ricorda il sapore della sua pelle. Rimembra il sesso con lui, poi si rivede padre, marito; si chiede cosa penseranno di lui gli altri poeti e letterati. È sospeso tra rimpianto e desiderio, tra istinto e ragione, in una spirale che lo porta lontano dal presente, verso una memoria bruciante che è l’unico rifugio possibile. Ed è per questo che il titolo, Ero Verlaine, parla al passato, suggerendo fin da subito una frattura profonda: quella di un uomo senza presente, che non riesce più a vivere se non attraverso i suoi ricordi.
Mocciola e Brandi ci restituiscono un ritratto profondo, intriso di contraddizioni, ferite, contrasti. Verlaine viene portato allo stremo, e la sua disperazione si manifesta visivamente in tutta la sua forma. Uno stile raffinato e diretto rende la narrazione accattivante, densa di tensione, con numerosi momenti di Spannung.
Ciò che attrae di più è che l’intensità esplode nonostante – o forse proprio grazie a – la nudità dell’attore e della scena. Nessun costume, nessun arredo, nessun artificio distraggono. La povertà dell’allestimento diventa ricchezza espressiva: ogni parola pesa, ogni gesto brucia. È come se l’essenza di Verlaine, quella più vera, più sporca, più umana, emergesse proprio nel vuoto, in quella nudità scenica che diventa verità assoluta.

Ilenia Anna Sicignano