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Scuola primaria, ore 10:00 lezione di pesto genovese

Data pubblicazione: 22-04-2024
 
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“Camugin” sulla testa, mortai e pestelli, basilico, olio e qualche altro ingrediente al seguito, Giovanni Bormida, per tutti Gianni, classe 1948, gira tra i banchi delle scuole primarie di Genova per insegnare alle nuove generazioni, l’antichissima arte del pesto genovese. E ai bambini porta proprio i mazzetti di quell’oro verde che nasce tra il mare e i monti della “Superba”, con le caratteristiche foglie piccole dal profumo e sapore intensi, perché è l’unico basilico con cui si crea il pesto doc: non solo un sugo ma il racconto della storia e della cultura di una città.
Curiosi di conoscere il signor Gianni, e di saperne di più sul pesto genovese e magari assaggiarlo, siamo andati alla scuola primaria “Ariosto” di Genova: lui era lì, puntuale alle ore 10:00 in quarta B, per tenere la sua lezione speciale. Lo abbiamo intervistato.
- Signor Gianni, che cappello particolare che indossa, cosa rappresenta?
“Si chiama “camugin”, è tipico dei pescatori di Camogli, un borgo marinaro della Riviera di Levante. Per tradizione è diventato il cappellino dei genovesi.”.
- Perché gira per le scuole ad insegnare come si fa il pesto?
“Faccio parte di un’associazione millenaria, “A Compagna”, che nel corso dei secoli ha avuto alterne vicende, e negli ultimi cento anni ha principalmente lo scopo di diffondere tradizioni, cultura e antiche usanze genovesi, tra queste, il pesto.”
- Come si fa il vero pesto genovese?
“Innanzitutto si chiama pesto perché deve essere pestato, schiacciato, occorre perciò un mortaio di marmo fatto a scodella, sul cui bordo ci sono le cosiddette “orecchie del mortaio”. Poi serve il pestello, in legno, appunto per schiacciare. Si comincia ad introdurre nel mortaio uno spicchio d’aglio di Vessalico, va bene anche di Tortona, avendo cura di toglierne l’anima e cioè quel baccello che c’è dentro, in quanto può essere indigesto. Poi aggiungere pinoli di Pisa, circa una ventina, e cominciare a schiacciare insieme all’aglio. Quando si è formata una cremina ben amalgamata, aggiungere le prime foglie di basilico di Prà, una ventina anche in questo caso, mettere qualche granello di sale grosso, e pestare e girare fino a creare una crema verde, omogenea nel colore, con i tre ingredienti. A questo punto è il momento del formaggio di capra, o per un gusto meno forte, un po’ di parmigiano. E ancora, olio extravergine di oliva della Liguria per il suo sapore delicato: il pesto è pronto per condire trofie, lasagne, minestrone ecc. Di consueto il pesto nel mortaio si assaggia col dito, l’indice, che in genovese si chiama “leccam
“.
- Lei cosa preferisce condire con il pesto?
“Le trenette, un tipo di pasta. Come da tradizione si mettono a cuocere insieme alla pasta, una patata a fette e i fagiolini, ed ecco “E trenette co u pesto”.
- Quali sono le origini del pesto?
“Probabilmente è nato insieme alla città, si è diffuso nella zona più proletaria perché era un prodotto “povero” nel senso che costava poco. Il basilico lo seminavi nei vasi sul poggiolo, in primavera nasceva rigoglioso; il sale, i pinoli e l’olio della Riviera ligure costavano poco. Ma i tempi sono cambiati, oggi un fascettino di basilico di Prà con le radici, costa 7/8 euro…”.
- Assistendo alla Sua lezione ai bambini, si intuisce che le piace questo “mestiere”
“Sì, molto! E poi, uno dei modi che ho per restare giovane, è rimanere a contatto con i giovani.”.
- Un’ultima domanda: ci fa assaggiare un po' del pesto che ha preparato insieme ai bambini?
"È finito subito ma le faccio pulire il mortaio con il dito “leccamortà”!

PS:   Intervista raccolta in collaborazione con i piccoli talentuosi futuri giornalisti della quarta B, scuola primaria “Ariosto” di Genova                             

Stefania Santamaria